giovedì 18 febbraio 2016

Sette Proiettili

Il click del caricatore della pistola aveva la stessa intensità di un'esplosione atomica all'interno delle orecchie di Jack. Aveva contato i proiettili per essere sicuro di averne almeno uno in più.
Sette proiettili: uno per la guardia all'ingresso (da sparare rigorosamente nella gamba), uno per incrinare il vetro rinforzato per poi sfondarlo con il calcio, uno da sparare in alto per spaventare i clienti, poi avrebbe urlato la frase di rito, un altro colpo in aria, avrebbe puntato la pistola contro la cassiera e sparato dietro di lei, avrebbe aspettato con la borsa aperta il bottino, poi avrebbe sparato un colpo nel nulla e sarebbe scappato. Nessun morto, sei proiettili usati, uno ancora in canna per le emergenze.
Jack odiava gli sprechi, ogni proiettile costava almeno un dollaro e lui in ogni rapina rischiava la vita.
Quelli erano soldi veramente sudati, mica come lavorare in ufficio. Lui metteva in gioco tutto se stesso, non rimaneva con il culo poggiato sulla sedia a premere tasti a caso sul computer. Lui non solo doveva pianificare tutto nei minimi particolari e minimizzare gli imprevisti ma doveva anche cacciare le palle.

Quante doti servivano per poter fare il rapinatore? Tante. Se Jack avesse stillato un curriculum di quello che sapeva fare avrebbe fatto impallidire i dirigenti delle più grandi società. Era un esperto in elettronica ed informatica per disattivare i sistemi d'allarme che puntualmente i cassieri impertinenti attivavano. Era un esperto di meccanica per tener pulite le armi e saperle smontare velocemente per nasconderle una volta in fuga. Era un attore esperto, per poter improvvisare sia durante la rapina sia dopo il colpo, magari davanti alla polizia. E poi era un tiratore bravissimo, uno psicologo (capire gli stati d'animo delle persone era fondamentale per evitare colpi di testa), riusciva a contare i soldi soltanto guardandoli, e soprattutto non si faceva fregare mai.

Però Jack doveva ammettere a se stesso che l'adrenalina che gli dava il rischio non riusciva a darglielo nient'altro. Era per quello che aveva iniziato. Non aveva mai avuto bisogno impellente di denaro. I genitori erano ricchi e gli avevano lasciato un paio di appartamenti giù in centro, che gli davano una discreta rendita mensile. Però per lui non era soddisfacente guadagnare senza fare nulla. In fondo gli avevano sempre insegnato il valore dei soldi veniva dal sudore della fronte e lui se li sudava più di ogni altro.

Alzò lo sguardo, osservando quello che lo circondava nel piccolo e buio appartamento. Il televisore, la cucina, la lavatrice. Ma anche il pacco di biscotti che perdeva le briciole sul tavolo o la bottiglia di vino rosso di quarta categoria che vegetava nella credenza. Erano stati tutti comprati con il sudore della sua fronte e il rischio della sua pelle, e per lui valevano miliardi non il classico prezzo da listino.

Mentre osservava la stanza vide l'orologio. Segnava le 16 e 55. La banca chiudeva alle 18, e sapeva per esperienza che il momento migliore per fare visita ad una banca era poco prima della chiusura: pochi clienti e molti soldi. Doveva muoversi se voleva evitare l'ingorgo tra la quinta e la Sanford. Prese la sua borsa nera. Indosso la giacca e controllò che nella tasca ci fosse il passamontagna.

Controllò per l'ultima volta la pistola. Guardò i sette proiettili nel caricatore.

“Crepi l'avarizia” pensò. E ne mise un altro.

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