venerdì 9 giugno 2017

Ospiti indesiderati

Perché spesso cerchiamo le risposte dove non sono.

Erano mesi che non dormiva.
Non era insonne, in quel caso sarebbe stato facile. L'insonnia l'accetti, trovi qualcosa da fare la notte e vai avanti. Ma lui non era insonne.
Lui era perseguitato.
La sua casa si riempiva di persone non appena si stendeva sul letto. Era un vociare continuo che lo costringeva a tenere gli occhi aperti e a guardare ossessivamente la sveglia. E quando non ne poteva più dello sguardo fisso dell'orologio che gli ammiccava ritmicamente di ritorno, si alzava, dava una carezza alla donna che dormiva della grossa nell'altro lato del letto, stringeva i pugni e si preparava ad affrontare quella dannata folla che gli impediva di chiudere occhio.
Con scarso risultato, come tutte le notti da qualche mese a questa parte.
Con una posa da pugile si muoveva di soppiatto, per sorprendere il primo e il più pericoloso di quegli inattesi, inaspettati e indesiderati ospiti.
Ma l'altro gli arrivava sempre alle spalle, e con un paio di ganci ben assestati lo colpiva alla nuca atterrandolo. Lui allora si girava lentamente, e lo osservava dal basso in alto. Era tremendo e torreggiante su di lui, con le sue scarpe laccate, il pantalone stirato e pulito, la cintura dalla fibbia luccicante, la camicia con i gemelli, la cravatta con il ferma cravatta, la giacca con la pochette nel taschino e il suo volto inespressivo. LAVORO era lì per lui, come ogni notte.
Perché non hai consegnato ancora i rapporti dell'affare Milous?” la bocca non si muoveva, l'espressione non cambiava. Seria, arrogante ed anche un po' annoiata. “Ma sono per la settimana prossima” tentava di ribattere lui ancora steso sul pavimento “Ma se me li consegni in anticipo ti posso affidare qualcos'altro” E via di calcio nello stomaco. LAVORO era un sadico. Godeva nel vederlo soffrire. E così continuava, lasciandolo riverso sul pavimento ed ogni tanto sferrando qualche calcio. “I resoconti annuali dell'azienda? Dove sono? E le copie delle carte d'identità dei coniugi Rapfen le hai fatte? Non ricordo se me le hai consegnate!” e giù calci e giù pugni. Paassava una mezz'ora e poi LAVORO spariva così come era arrivato, lasciandolo pesto e livido sul pavimento.
Lui allora si alzava, tremebondo sulle gambe e cercava ristoro sul divano, ma sapeva che l'avrebbe trovato già occupato. Era il suo posto preferito. Lei giaceva languida e nuda, con le mani tra le gambe e le bocca socchiusa a forma di “O”. Poi allungava una mano e sensuale lo tirava a se. E lui era costretto ad accettare i suoi sussurri melodiosi. Era così che si presentava SALUTE.
Cos'era quel dolorino al tallone di oggi? Non ne avevi mai sofferto? O sbaglio?” la mano di lei si muoveva sinuosa sui suoi fianchi, alzando la maglia del pigiama ed accarezzando i peli che gli si rizzavano sul ventre. Avrebbe potuto sfuggirle, volendo, ma era troppo insinuatrice “Quanto tempo è che non facciamo un controllo al cuore?” e il cuore gli batteva all'impazzata “Sai, la vecchiaia è una brutta bestia!” SALUTE non usava la forza come Lavoro, lei ti si insinuava nel cervello, ti sussurrava parole che sembravano dolci, ma in realtà erano pesanti come macigni poggiati sul petto. Allora lui iniziava a respirare a fatica, a rantolare, il mal di testa aumentava, lo sguardo gli si appannava, poi quando stava per svenire, SALUTE si alzava e lo abbandonava, lasciandolo sul divano mentre gli sculettava davanti, allontanandosi.
A questo punto, lui, ogni notte faceva lo stesso errore. Si rialzava sul divano ed accendeva la televisione. Il volume bassissimo per non svegliare la donna che dormiva nel suo letto, la speranza di trovare ristoro in un programma notturno, qualcosa di noioso. Ma con la sigla sapeva già che sarebbe rimasto sveglio. LA FAMIGLIA, il titolo compariva di lato e numerose persone festose e vocianti si rivolgevano direttamente a lui: “Come sta mamma? È da un po' che non la senti.” gli diceva la vecchia signora in piedi contro lo sfondo scuro. Ma il bambino la interrompeva e prendeva la parola con la sua voce stridula “E invece io? Quando arrivo io?”. E la trasmissione lo ipnotizzava e lo portava avanti sino all'alba. Quando la donna che dormiva con lui si alzava e lo baciava, invitandolo a fare colazione.

Poi una notte decise di fare una cosa. I rumori ricominciarono, più noiosi e fastidiosi che mai. Ma lui non si alzò dal letto. Si girò semplicemente ed abbracciò la donna che gli dormiva affianco. E fu li che arrivò il sonno. Perché tra cucina, salotto e televisione, era nel letto che dormiva l'AMORE.

venerdì 2 giugno 2017

Giallo Friariello


L'uomo osservò il cadavere sul tavolo di alluminio. Mentre alzava la mannaia si ritrovò a pensare a come tutto era diverso solo una settimana prima.

In una giornata di fine Dicembre, Giorgio arrivò a Napoli. Mentre vagava alla ricerca di un taxi nell'enorme stazione di piazza Garibaldi ripensava agli avvertimenti dei suoi colleghi di Milano: “Stai attento, cercheranno di derubarti, e se vedi qualcosa di strano corri più veloce che puoi.
Il sole calava e facce sempre più cupe si aggiravano per gli enormi antri delle ferrovie. Preoccupato, Giorgio si infilò nella prima macchina bianca che vide. L'autista, un tipo dagli occhi piccoli e la barba incolta, sorrise mellifluo quando Giorgio gli diede il nome dell'hotel e partì sgommando.
Nuvole cariche d'acqua facevano capolino dall'orizzonte. Il tassista, con una brusca curva, abbandonò la strada principale, infilandosi in una via soffocante, ingombra di spazzatura e carretti. Due scooter si affiancarono all'auto, stringendosi tra la macchina e i palazzi. I volti dei centauri erano facce da galera tanto scure quanto avide. A Giorgio sembrò che si scambiassero un cenno di intesa con l'autista, poco prima che il taxi si fermasse in una strada secondaria dove una piccola auto blu stava facendo manovra.
Ma era veramente un taxi quello? Nella fretta non aveva forse rischiato di infilarsi in un auto di qualche malvivente? Le persone sugli scooter erano palesemente i suoi complici. Giorgio doveva fuggire. Spalancando la portiera, iniziò a correre per i vicoli mentre qualcuno continuava ad urlare. Sentiva ancora il rombo delle moto, e spaventato deviò in una strada ancora più stretta. Dal balcone due donne gli gridarono contro, mentre in lontananza la scarica di un mitragliatore rimbombava tra i palazzi. Facce abbiette lo osservavano dalle finestre e dagli androni. Svoltò un angolo e davanti a lui c'era un uomo enorme, alto più di due metri e con una profonda cicatrice che gli solcava la guancia destra. Giorgio fece un paio di passi indietro e poi, stremato, perse i sensi.
L'odore di carne lo risvegliò. Si trovava in una piccola stanza ed era seduto su di una poltrona. Su di un tavolo c'era un piatto con delle salsicce e una poltiglia verde dall'aspetto non proprio invitante. L'uomo con la cicatrice era alle sue spalle, seduto, mentre faceva zapping su di un vecchio televisore. Da una porta laterale, una vecchia signora uscì strascicando i piedi e, sorridendo, si avvicinò a Giorgio “Finalmente sveglio! Gennaro vi ha trovato svenuto, ed io vi ho preparato qualcosa di caldo”. L'uomo cercò di spiegare alla donna quello che gli era successo: il tassista, i motorini, le donne, e i colpi di mitragliatore. L'anziana signora gli mise un bicchiere di vino in mano. “Vi siete impressionato e mo' vi spiego perché: il vostro albergo è alla fine di via Foria, sempre bloccata dalle auto, per questo il tassista ha deviato. Le donne sul balcone stavano ritirando i panni prima della pioggia, e scambiavano tra di loro qualche chiacchiera, mentre i bambini si divertono a sparare i botti prima di capodanno... E ora mangiate su, che avete bisogno di rimettervi in forze”. Giorgio guardò il contenuto del piatto, ne avvicinò un poco alla bocca come se fosse qualcosa di radioattivo. Spalancò le labbra e per la prima volta assaggiò i friarielli...

L'uomo finì di staccare le coste di maiale dalla bestia che gli giaceva di fronte. L'odore dei friarielli nella pentola riempiva la cucina del ristorante, dove all'esterno una piccola lavagna nera portava in bianco il menù del giorno. E tra i secondi spiccava: “Maiale e Friarielli, dello chef Giorgio Vizzini”.

giovedì 18 febbraio 2016

Sette Proiettili

Il click del caricatore della pistola aveva la stessa intensità di un'esplosione atomica all'interno delle orecchie di Jack. Aveva contato i proiettili per essere sicuro di averne almeno uno in più.
Sette proiettili: uno per la guardia all'ingresso (da sparare rigorosamente nella gamba), uno per incrinare il vetro rinforzato per poi sfondarlo con il calcio, uno da sparare in alto per spaventare i clienti, poi avrebbe urlato la frase di rito, un altro colpo in aria, avrebbe puntato la pistola contro la cassiera e sparato dietro di lei, avrebbe aspettato con la borsa aperta il bottino, poi avrebbe sparato un colpo nel nulla e sarebbe scappato. Nessun morto, sei proiettili usati, uno ancora in canna per le emergenze.
Jack odiava gli sprechi, ogni proiettile costava almeno un dollaro e lui in ogni rapina rischiava la vita.
Quelli erano soldi veramente sudati, mica come lavorare in ufficio. Lui metteva in gioco tutto se stesso, non rimaneva con il culo poggiato sulla sedia a premere tasti a caso sul computer. Lui non solo doveva pianificare tutto nei minimi particolari e minimizzare gli imprevisti ma doveva anche cacciare le palle.

giovedì 11 febbraio 2016

Il cuore nello zucchero

Il cuore nello zucchero


Gli amori giovanili splendono come torce ma bruciano come fiammiferi.

Era tutto pronto.
Giorgio aveva organizzato ogni minimo dettaglio. Sarebbero usciti insieme dall'oratorio, lui l'avrebbe accompagnata sin sotto casa, e prima di farla salire le avrebbe confessato il suo eterno amore.
Amore che cresceva sotto la sua pelle ormai da due anni, da quel fatidico giorno che l'aveva vista entrare in classe in prima media, con i suoi capelli rossi riccissimi e la maglietta di Minnie.
Valeria era il suo nome, occhi di fuoco e pelle di ghiaccio.
Giorgio aveva anche costretto i genitori a farlo andare all'oratorio, dopo aver scoperto che lei passava tutti i suoi pomeriggi li. Solo per starle vicino, per poterla osservare meglio e magari qualche volta stringerle la mano.
Avevano giocato a pallavolo insieme, avevano cantato nel coro della chiesa insieme (Giorgio sapeva di essere stonato come una campana, ma questo non lo aveva fermato), erano stati anche seduti in gita insieme. Lei gli raccontava tutto ed ogni volta che sorrideva Giorgio perdeva tre o quattro battiti al cuore.

mercoledì 3 febbraio 2016

Lo struzzo e il leone


L'alba si alza sui sogni, spegnendo per sempre ogni velleità del desiderio.

Akif è uno struzzo.
Uno di quei grandi uccelli dal piumaggio nero e le gambe lunghe, famosi per nascondere la testa sotto la sabbia ad ogni pericolo.
Akif vive con la madre e il padre sulla riva di un grande lago, nella assolata savana africana. Ogni giorno si sveglia e guarda verso l'alto. Invidia le splendide cicogne, capaci di volare sul vento caldo proveniente da est.
Anche lui vorrebbe essere accarezzato dalle nuvole ed osservare gli altri dall'alto. Vorrebbe vedere l'orizzonte curvarsi e il sole non tramontare mai.
Vorrebbe, in una parola sola, volare.
Ma non può. Le sue ali sono troppo tozze e le sue ossa troppo pesanti. La genetica a volte è veramente cattiva.