lunedì 15 agosto 2011

Batti il ferragosto finchè è caldo - parte 1

 L'importante è il viaggio

Ferragosto. L'unico giorno dell'anno in cui le inibizioni della maggior parte dell'umanità vengono obnubilate dalla sfrenata assunzione di alcool intorno ad un fuoco allestito per l'occasione su spiaggie pubbliche dalla dubbia condizione igienica.

Ed io facendo parte di questa umanità ho deciso di prendere parte a questo rito apotropaico, invitato in quel di Baia Domizia per partecipare proprio a quello che viene definito "falò di ferragosto". Ma se la giornata del 14 fosse stato un semplice arrivare/bere/tornare a casa, forse non sarei qui a tentare di raccontarvela, e come ogni storia che si rispetti (o almeno le migliori) anche questa inizia con un viaggio, una sfida dell'uomo alla sua instabile forma fisica.

Seguitemi.


Tutto inizia verso le 11 di mattina, poco prima che il gallo canti per la terza volta. Quello che consideravo fino a quel momento il mio passaggio per la zona casertana, afferma di non poter partire prima delle 19.00. Avevo "messo il pensiero" nel provare l'acqua domizia prima del calare del sole, e, come mi capita ultimamente, un'idea o una voglia diventa un punto fisso sul quale faccio girare la mia intera giornata. Ci penso un paio di minuti, controllo un attimo la rete ricevendo tutte le indicazioni del caso, e poi guardando verso l'alto ed aspettando la conferma divina sotto forma di illuminazione mistica, mi convinco che posso andarci a piedi.
E' un viaggio da fare, mi dico, e poi, quanto ci vorrà mai...
Mi armo di zaino, asciugamano, bottiglia d'acqua (ovviamente calda) e scendo di casa,  diretto verso la stazione di piazza Garibaldi in Napoli, per prendere il treno diretto a Sessa Aurunca, comune che secondo la sacra rete telematica è colui che detiene il possesso della zona di Baia Domizia. Ma i disastrosi inconvenienti iniziano fin da subito. Le ferrovie dello stato sono in uno stato di caos simile a quello primordiale. Sciami di persone che si spostano frenetiche verso non ben definite mete, affollando le biglietterie come insetti sul miele, accalcandosi sotto gli androni, corpi sudati e niente affatto sexy, che si arrampicano gli uni sugli altri tendendo la mano verso l'uomo dietro lo sportello, come se fosse un dio distribuitore d'intelligenza.
Rinuncio quindi a comprare un titolo di viaggio da mani umane e mi incammino, verso alcune code di persone che si avvolgono al centro della stazione. Lontano, verso l'inizio, gente giurava che ci fossero le macchine automatiche da cui, in cambio di soldi, ricevere biglietti per le proprie destinazioni. La fila si dipana per kilometri, ma dopo diverse ore (mentre un uomo vestito da cercatore d'oro dietro di me mi chiedeva un po' d'acqua), riesco ad avvicinarmi al mostro touchscreen. Che ovviamente decide che i biglietti per Sessa Aurunca non possono essere fatti tramite lui... E mentre il cercatore d'oro dietro di me sta per prestarmi il piccone, decido, invece di commettere un atto vandalico che mi avrebbe rivolto le ire di tutta la coda, di fare un biglietto per Formia, che è sulla stessa tratta, ma costa un euro in più.
Bene! Sorrido stringendo nel pugno il mio biglietto e dirigendomi verso il treno, ma a pochi passi da me, le porte dei vagoni si chiudono con un sibilo simile a quello di un serpente, scatenando il panico mio e quello di tutta la carne in forma umana che stava finendo una sigaretta sulla banchina in attesa. Fortunatamente un indiano non molto forzuto, ma a quanto pare con ottime doti di scassinaggio, forza una delle porte e ci lascia salire... soltanto per scoprire poi che il treno sarebbe partito dieci minuti dopo... Spintonando qui e li, e tirando lontano la borsa ad una vecchia, riesco a trovare un posto a sedere tra due ragazzi (si dannazione sempre uomini...), e, mentre lentamente il treno si muove sui binari verso in direzione di Roma, noi tre, seduti su poltrone adiacenti, decidiamo di scambiarci le nostre storie, per far passare prima il lungo viaggio.
Claudio: "Vado a Roma, a trovare alcuni amici e a fare un provino per entrare nella primavera della squadra della capitale. Stavo pure qua a Napoli, mi allenavo nella primavera qui, ma dopo che mi sono entrati diverse volte in scivolate fallose su caviglie e ginocchi, senza motivo, ho capito che non era cosa per me. Ho capito che anche per diventare calciatore devi avere qualche aggancio nel sistema, sennò cercano di farti fuori spappolandoti le ossa."
Luca: "Vado [in un paese di cui non ricordo più il nome] a fare un falò con gli amici. Ho finito il liceo tre anni fa, ma ho già provato a fare tre università diverse in tre posti diversi d'Italia, senza risultati decenti. Torino, Firenze e Milano, sono città che conosco troppo bene ormai. Tanto quando stai fuori, nessuno ti controlla e puoi fare quello che vuoi. E alla fine ho capito che nessuna di quelle tre lauree mi interessava. Ora aspetto Settembre per provare lettere a Napoli, senza muovermi troppo."
Anche io aggiungo al gruppo la mia storia e poi mi preparo a scendere. Il treno mi lascia nella stazione più vuota dell'interno paese. Covoni di fieno si aggiravano misteriosi per la piazza antistante, mentre l'unico bar ha le saracinesche abbassate, chiedo ad un passante se ci sono pullman che portino a Baia... risposta negativa, da li non ne partono. Ma se mi dirigo verso Cellole magari in piazza ce ne sono. Ma mentre sto parlando con lui, mi distraggo un attimo per vedere la direzione che mi ha indicato. Mi rigiro e non c'è più nessuno... Inquietato e nel nulla più assoluto mi metto in marcia, di buona lena, affrontando il sole e il calore estivo delle 15e15. Ma siamo forti e vigorosi, a digiuno e con voglia di fare, e non ci spaventa nulla. 
Sulla mia strada, dopo già 15 minuti che camminavo e di Cellole non si vedeva nemmeno un mattone, intravedo un uomo. Cammina diversi metri davanti a me e fuma una sigaretta. Dubbioso sulla strada da seguire lo raggiungo per chiedere informazioni. Ivan è un quarantenne ucraino, mi invita a fare la strada con lui, parla malissimo l'italiano, ma ha voglia di raccontarmi la sua storia. Lavora con un uomo di 72 anni, ed è disposto a fare tutto, dal muratore al contadino, non disdegnando nessun tipo di lavoro. Ha due figlie nel suo paese d'origine a cui manda i soldi regolarmente, ed una sorella in Canada che invece se la passa molto meglio di lui. Sono nove mesi che è arrivato in Italia, passando per la svizzera, dove si è fatto due mesi di carcere per [espatrio illegale]. Nel suo paese il sindaco è stato in carcere due volte prima di essere eletto, e ormai a preso il controllo di tutto. La moneta ucraina è la Grisva, e 12 Grisva fanno un euro, che è il costo delle sigarette li, che lui si fa spedire di contrabbando dalla famiglia, ma che fuma solo di domenica, come premio per la settimana di lavoro. Spera di riuscire ad andarsene perché qui, dice non gli piace. 
Arrivati nella piazza di Cellole , mi indica la strada per Baia Domizia, e le nostre strade si dividono. Compro una red Bull da l'unico bar aperto al mondo (o almeno così mi sembrava) e depresso dopo aver saputo che nemmeno da li i pullman partono, chiedo conferma delle parole di Ivan a due ragazzi sul motorino, che in una lingua strana (credo fosse o casertano o klingon) farfugliano qualcosa sul fatto che devo prendere qualcosa di più forte per arrivare dove devo arrivare. Sorrido, annuisco, li saluto e mi allontano senza perderli di vista, con gli occhi sgranati e il dubbio su cosa intendessero...
La strada è infinita, ma almeno è costeggiata di alberi che mantengono la temperatura umana. Numerosi stranieri mi passano in bici, sembrano tutti lavoratori della zona, dalle mani abbronzate e le facce stanche. Per contro, macchine costose sfrecciano alzando aria e spazzatura dai canali di scolo della strada senza marciapiede, incuranti dei passanti o dei ciclisti. A destra e a sinistra la terra riarsa dal sole sembra un paesaggio post apocalittico, dove televisori e macchine giacciono abbandonati, cucce per cani investiti dalle auto e per gatti da un occhio solo. Ma lontano davanti a me c'è l'incrocio che sembrerebbe portare a baia Domizia, sorrido ed accelero il passo. Un cartello enorme, grande quanto una casa, mi sorride dicendomi "Benvenuto a Baia Domizia" ammiccando con una serie di pubblicità di locali della zona. Lo osservo, convinto che il mio viaggio (che a questo punto va avanti da un'ora) sia giunto al termine, ma quando abbasso lo sguardo dietro di lui, una lunghissima strada battuta dal sole, che si perde nell'illusorio orizzonte, ed io senza cappello convinto che quella sia l'ultima cosa che farò.
Ma gli uomini non sono fatti per cedere ed ogni passo mi stava portando più vicino alla mia meta. Dopo 20 minuti in quel deserto d'asfalto, avevo visioni mistiche alla Fantozzi. Davanti a me, la Madonna, con una schiera di Santi, mi invitava a raggiungerli al bar dove erano seduti, ma io più mi avvicinavo più loro si allontanavano. Poi quando sono arrivato mi hanno fatto pagare solo il conto.
Dopo ogni curva la strada continuava, e la fine sembrava non arrivare mai. Fermo un ragazzo che assomiglia a Totò, però biondo, e disperato gli domando quanto ci vuole ancora a baia Domizia. Lui sorride, mi guarda con quel suo mento sporgente ed indica dietro di lui. Da questo movimento deduco che non ha capito un cazzo, sorrido anche a lui, annuisco e continuo. Fortunatamente la civiltà giunge poche centinaia di metri dopo. Ad un incrocio, sotto l'ennesimo cartello di baia, domando ad un vigile le indicazioni per Baia Murena. Lui mi chiede se ci devo andare a piedi. Io annuisco. Lui scuote la testa e indica verso destra, la terza rotonda sulla strada è la rotonda di baia murena... ma ci vuole almeno un'altra ora di cammino. 
Sono qui, ormai non mi posso fermare, magari raccoglierò qualche altra storia.
Passo dopo passo arrivo alla prima rotonda (circa 15 minuti di viaggio, pensavo peggio). Ma come ogni rotonda che si rispetti ha diverse uscite, e nessuna che dice quale porti alla prossima. Un gruppo di bambini su di biciclette si avvicina minaccioso, li fermo (il più grande potrà aver avuto otto anni) e chiedo per la rotonda di Baia Murena. Mi dice il capo del gruppo, che non hanno niente da fare e mi possono accompagnare. A passo di lumaca mi seguono e mentre mi continuano a sciamare intorno, ridono e scherzano tra di loro. Passiamo la seconda rotonda dopo circa cinque minuti di cammino, e decido di sentire il mio contatto sulla spiaggia, pensando di essere quasi arrivato, dopo circa un'ora e quarantacinque di viaggio. Mai cosa fu più falsa. Ho scoperto solo dopo che le rotonde non sono sistemate ad uguale distanza l'una dall'altra, e mentre tra la prima e la seconda ci saranno si e no 200 metri, tra la seconda e la terza ce più di un kilometro. I bambini in bici mi abbandonano alla seconda rotonda, indicandomi la strada per la terza, e accelerano la pedalata improvvisandosi in una gara contro il senso stradale... Piccole ville crescono come funghi sulla mia destra, mentre a sinistra terre incolte, con piccoli boschi di faggi si rifiutano di farmi ombra. Domando più volte quanto ci voglia alla terza rotonda, ricevendo risposte contrastanti. Un uomo in bicicletta, ad un certo punto mi guarda e mi dice "Tu non ce la puoi mai fare" io, come ho fatto già molte volte nella giornata, gli sorrido, annuisco e mi allontano. Poi dietro una curva, mentre fischiavo per non sentire la stanchezza, mi appare come una visione la rotonda, con il mio amico li ad aspettarmi.

E dopo due ore e mezza di viaggio da Napoli, 15 kilometri percorsi a piedi, e tre storie di vita raccolte, arrivo a baia murena, sulla spiaggia dove sono in atto i lavori per la costruzione del falò.

Ma questa è la storia per la seconda parte...

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